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C’è ancora un futuro per l’Influencer Marketing?

Futuro dell'influencer marketing
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Il mondo dell’Influencer Marketing si affaccia su una nuova era di grandi cambiamenti, complici le nuove dinamiche messe in moto in casa Instagram ma anche l’umore e i sentimenti di chi su questa e altre piattaforme di contenuti investe molto del proprio tempo.

Alcuni dati sembrano mostrare delle crepe all’interno di una struttura che è tutt’altro che monolitica. Ma non tutto è perduto!

In questo articolo provo a spiegare come riconoscere i segni della maturazione di un mezzo di comunicazione in grado di dare forti contributi all’interno di strategie di marketing purché siano ben studiate e strutturate. Decifrare questi segni è decisivo per riuscire a cambiare il nostro modo di concepire e lavorare con l’Influencer Marketing nei prossimi anni.

L’influencer Marketing è ancora un valore per le aziende?

La forza dell’influencer Marketing consiste nel riuscire a raggiungere un pubblico potenzialmente predisposto ad un determinato messaggio sfruttando il potere del passaparola di alcune personalità chiave che esercitano un forte ascendente sulla loro community.
I cosiddetti influencer del web sono ormai considerati dei veri e propri mezzi di comunicazione in grado di innescare dinamiche virali online grazie alla loro capacità di creare contenuti testuali e fotografici di interesse.

È un dato di fatto che questo processo contribuisca ad aumentare la riconoscibilità di un brand presso una specifica community in maniera molto meno aggressiva rispetto ad altre tradizionali strategie di advertising.

Secondo l’indagine svolta da ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing), la maggior parte dei brand intervistati su territorio italiano ha dichiarato di aver avviato nel 2018 da uno a tre progetti di Influencer Marketing e ben il 67% di loro ha confermato l’aumento di budget per il 2019, sintomo che le campagne svolte hanno dato esiti positivi.

Fonte: Influencer Marketing Report 2019, dati ONIM

Se è vero che l’Influencer Marketing sta attraversando un momento senza dubbio florido, è altrettanto vero che stiamo assistendo ad una fase di assestamento dopo i primi anni di crescita quasi incontrollata.

Stando al’indagine firmata da Mobile Marketer e basata sui dati di InfluencerDB, riferiti al primo trimestre del 2019, questa macchina sembrerebbe addirittura dare i primi segni di saturazione.

Fonte: dati InfluencerDB

Un dato più di tutti sembra preoccupante: l’engagement medio dei post sponsorizzati dagli influencer passa dal 4% del 2016 al 2,4% del 2019.

Scendendo nel dettaglio dell’analisi, però, emerge un altro fattore interessante e cioè che il calo non ha colpito tutti i profili nella stessa misura ma appare procedere in maniera inversamente proporzionale rispetto al numero di follower.
Se si considerano gli account con almeno 10k follower, il tasso di coinvolgimento arriva al 3,6%, mentre per i profili tra i 5k e i 10k seguaci si arriva anche al 6,3%.
A sorpresa quelli con follower compresi tra 1.000 e 5.000 si attestano su un engagement che tocca anche l’8,8%.

La vera domanda da porsi è questa: si tratta già della fine di un’era e di un determinato modo di comunicare oppure stiamo assistendo ad una fase di maturità dopo un proliferare incontrollato di contenuti?

Non sarà più una questione di like

È Instagram stesso a dare un forte segnale dell’importanza della qualità dei contenuti richiesta agli utilizzatori della piattaforma. L’iniziativa di voler nascondere i like sotto le foto e i video può essere analizzata all’interno di questo contesto generale.

“Vogliamo che i tuoi follower si concentrino su ciò che condividi,
non sul numero di like che il tuo post ottiene.”

Così la società ha spiegato le motivazioni di questa scelta.

In altre parole, questo si traduce nella necessità di mettere al centro dell’attenzione la qualità intrinseca dei contenuti, senza influenze di alcun tipo: il desiderata è quello di creare un “ambiente meno sotto pressione” e più confortevole per tutti. Instagram non deve essere percepito come “un terreno di competizione”, le persone devono sentirsi libere di postare contenuti lontani dal giudizio e dall’apprezzamento sociale.
Per i marketer, tutto ciò significa vedere depotenziate le vanity metrics a favore di parametri più consistenti nella misurazione delle campagne.

I vantaggi di questo test potrebbero essere ancora altri.
Ryan Detert, CEO della nota società di marketing Influential, ha detto che il cambiamento potrebbe segnare una battuta di arresto per il mercato dei like diventato ormai una piaga della piattaforma a causa del proliferare di siti specializzati che permettono di acquistare interazioni fasulle per dare maggior rilievo ai post.

Da qualche tempo d’altronde comincia ad affermarsi l’idea che il tasso di engagement non debba essere il KPI più importante per misurare le campagne di marketing: si fanno strada analisi più complete con focus maggiore sul ROI generato per il brand.
Alcuni dati a supporto di una valutazione di efficacia potrebbero essere per esempio i dati di traffico su siti di e-commerce o i dati di venduto (tramite l’uso di codici sconto), o ancora l’incremento dei follower di un account che è stato taggato durante una sponsorizzazione.

Nuovi orizzonti per l’influencer marketing

Secondo i dati di Klear, nel 2018 i micro-influencer hanno pubblicato l’84% dei post sponsorizzati nel mondo.

Fonte: The State of Influencer Marketing 2019, dati Klear

Ancora l’indagine svolta da ONIM, conferma come i brand prediligano lavorare con i micro-influencer (meno di 30k follower) perché vogliono investire in engagement e contenuti di qualità.
I principali KPI valutati in fase di selezione da parte dei marketer sono legati alla qualità dei contenuti, alla reputation dell’influencer e all’engagement sui social, meno o quasi per niente alla dimensione della fan base dell’influencer.

Il mega-influencer o il vip testimonial di successo – celebrità conosciute e amate a livello globale con profili da milioni di follower – può funzionare quando il pubblico da raggiungere è molto ampio e davvero poco definito: il suo carattere mainstream lo rende appetibile per determinati obiettivi di business ma i costi, spesso, non ne giustificano l’utilizzo.
Al contrario, i micro-influencer, detti anche longtail influencer, hanno una competenza molto specifica in una nicchia di mercato e sono credibili in quanto hanno instaurato un legame reale con il proprio pubblico e godono della sua fiducia.

È prevedibile che questi content creator – termine con cui molti di loro amano definirsi – diventeranno sempre più il fulcro delle strategie di marketing dei brand proprio perché avendo un legame più stretto con i follower, riescono ad ottenere una maggiore attenzione da parte loro e risultati migliori in termini di engagement rate e reach rate, essendo anche salvi dalle penalizzazioni che Instagram sta mettendo in atto sui profili con ampio numero di follower.

Il futuro è dei micro-influencer?

Le statistiche e le tendenze dei primi mesi del 2019 hanno evidenziato come ci siano diversi problemi da risolvere per l’Influencer Marketing che vanno dalla proliferazione di profili spesso fake alla perdita di fiducia da parte del pubblico a causa dei feed assaltati da messaggi pubblicitari più o meno espliciti, per non parlare proprio della scarsa chiarezza a livello commerciale e legale di questi messaggi.

Si capisce come sia diventato sempre più centrale l’esigenza per gli addetti ai lavori di ottimizzare il lavoro in direzione della scelta della giusta nicchia e del giusto influencer che dia la chiave di accesso a quella nicchia.

I motivi per scegliere un micro-influencer per le proprie campagne di marketing si trovano nelle loro capacità di creare contenuti unici, non replicabili e che siano percepiti come genuini dai follower. Questo è possibile perché le piccole community creano un maggiore senso di vicinanza, elemento di cui gli utenti hanno bisogno per sentirsi parte di un gruppo in cui non sono solo fruitori di contenuti ma ne diventano anche creatori. Il rapporto più personale con il micro-influencer diventa il vero punto di forza.

Se gli interessati a campagne di Influencer Marketing, i due aspetti rilevanti saranno sicuramente il minor rischio di follower sospetti e il minor costo rispetto ai grandi influencer, a fronte di una maggiore efficacia del messaggio.

Uno spazio per l’Intelligenza Artificiale

L’influencer Marketing è dunque uno strumento ancora valido per i brand che vogliono lavorare sulla brand advocacy e sulla brand reputation e per i marketer che vogliono coltivare relazioni durature con precise community per aumentare conversioni e generare ROI.

Si tratta di un ambito di lavoro in cui molto è ancora affidato al caso o a team di lavoro poco strutturati e non sempre supportati da software professionali e da modelli data driven.
L’indagine di ONIM ha messo in luce come solo il 33,5% degli intervistati si affida a strumenti
come tool di social listening (18,4%) e verticali sull’Influencer Marketing (15,1%).

“La maggior parte dei marketer effettua ricerche direttamente attraverso i social media (36,8%), i motori di ricerca (14%) o, addirittura, affidandosi a sistemi molto poco digitali come il passaparola (11,4%)”

Fonte: Influencer Marketing Report 2019, dati ONIM

Il futuro vedrà probabilmente un sempre maggiore utilizzo dell’Intelligenza Artificiale soprattutto nella fase di individuazione degli influencer più adatti ad un determinato business in base all’analisi della sua audience e dei contenuti pubblicati perché solo in questo modo si potranno raggiungere pubblici sempre più in target.

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Autore
Laura Micaletto
Digital media strategist presso Antica Innoveria 1.6 S.r.l. "Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano."

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